Il Parkinson raccontato attraverso gli occhi di una figlia nel libro “Le cose migliori”
“Le cose migliori”, il romanzo d’esordio di Valeria Pecora, giovane scrittrice sarda, parla del percorso di crescita della protagonista, Irene, attraverso la malattia e l’amore. Due temi apparentemente contrastanti ma, nel suo caso, intrecciati indissolubilmente.
Un tema autobiografico quello del libro, come ci spiega durante il nostro incontro la scrittrice.
Valeria ha solo 7 anni quando sua mamma Marisa ha la prima crisi di quello che, in seguito, sarà diagnosticato come morbo di Parkinson.
Una malattia neurodegenerativa in costante aumento e che colpisce fasce sempre più giovani: in Italia sono circa 300.000 le persone colpite e una su 4 ha meno di 50 anni.
Per approfondimenti leggi la guida Village Care “Parkinson: 8 segnali di allerta”
Quando il Parkinson é entrato nella vostra vita?
“In una giornata qualunque della mia infanzia: stavamo andando a prendere un gelato e io caddi. Mia mamma voleva raggiungermi per aiutarmi ma non riusciva a muoversi.. sembrava paralizzata” racconta Valeria. “E’ stato tremendo accettare, ai miei occhi di bambina, che mia madre da quel giorno sarebbe cambiata. E io con lei.”
Dopo la prima “crisi”, una grande preoccupazione è quella di non sapere quale malattia affligge Marisa. Solo dopo anni di esami, medicinali e visite, arriva la diagnosi: morbo di Parkinson. Una malattia ancora poco conosciuta, soprattutto negli anni Novanta, in cui la sola parola “morbo” sembrava qualcosa di “contagioso” e altamente negativo. Un tabù di cui non parlare.
“Sapevamo di essere di fronte ad una malattia invalidante con una conseguente perdita di indipendenza, ma niente di più. Anzi, i miei genitori hanno sempre sperato di poter trovare una cura miracolosa, perché non accettavano l’inesorabilità di una malattia poco nota”.
Come sono cambiate le dinamiche nella vostra famiglia?
“La malattia ha avuto, ovviamente, un impatto molto forte sulla mia famiglia: i miei genitori, non ancora quarantenni, in pensione anticipata e mio padre decide di prendersi cura, da solo, della mamma e di tre figlie piccole”.
Questo porta diversi stravolgimenti: due genitori giovani improvvisamente a casa ma, paradossalmente, meno presenti per le figlie che devono imparare a cavarsela da sole. Tutto passa in secondo piano, la malattia della madre viene prima di tutto e tutti.
“Quando mi chiedono cos’abbia tenuto in vita mia mamma fino ad oggi, la risposta è semplice: l’amore di mio padre. Per superare, insieme, una situazione difficile come la nostra e, nonostante tutto, rimanere uniti, sono convinta che ci voglia un amore straordinario alla base di tutto”.
Qual è il modo migliore per spiegare la malattia ad un bambino?
“Un bambino vede i propri genitori come invincibili e, quando a uno dei due succede qualcosa di grave, ha bisogno prima di tutto di essere rassicurato. Ed è questo che ha fatto mio padre: ha spiegato subito a noi bambine che la mamma non avrebbe potuto fare le stesse cose di prima. Ma era viva” spiega Valeria “Quello di cui gli sarò sempre grata è stata la sua sincerità nei nostri confronti: è importante spiegare ad un bambino ogni grande cambiamento con un linguaggio semplice e comprensibile ma, soprattutto, sincero. Ha cercato di renderci accettabile una realtà molto difficile anche per lui”.
Come mai hai scritto un libro ispirato alla tua vita?
“C’è stato un momento, qualche anno fa, in cui ho sentito una grande urgenza di scrivere un libro per raccontare quello che mi era successo. Di getto, senza pensarci troppo. La prima bozza del libro, però, è rimasta chiusa in un cassetto per anni, per paura di vedere pubblicati temi così privati e intimi. Quando ho sentito che il momento giusto era arrivato, ne ho parlato con la mia famiglia e, dopo un iniziale sconcerto, ho ricevuto il loro appoggio e la loro comprensione.
Lo scopo del libro è quello di dare un punto di vista diverso della malattia, anche attraverso un linguaggio diretto. Ho usato dei termini spesso molto forti per sottolineare il dolore e, soprattutto, la non accettazione della malattia, trasformatosi, nei miei genitori, nella ricerca di una cura a tutti i costi che ha poi portato ad effetti peggiori (allucinazioni, depressione), ancora più difficili da tenere sotto controllo e da gestire.”
Valeria ha voluto trasmettere la verità cruda e semplice, così com’è nella realtà, aspetti negativi inclusi, anche per combattere lo stigma che esiste ancora oggi nei confronti della malattia.
Qual è stata la vostra arma contro il pregiudizio verso il Parkinson?
“La nostra arma contro lo stigma, grazie all’esempio di nostro padre, è sempre stata quella di non nascondere la malattia della mamma, anzi di parlarne apertamente, di uscire e di non nasconderci.” confida Valeria “C’è ancora una grande soggezione nei confronti del malato e della malattia. Per questo è importante continuare a parlarne apertamente, senza vergogna. Ed è quello che anch’io, nel mio piccolo, sto facendo con il mio libro.”