Alzheimer: aumentano le possibilità per una diagnosi precoce di rischio
La necessità di intercettare i sintomi dell’Alzheimer (dell’argomento avevamo parlato in questo articolo) in tempi brevi è uno dei nodi fondamentali quando si tratta di fare ricerca sulla patologia degenerativa. Anticipare la diagnosi della sindrome è l’obiettivo di una serie di test che già oggi esistono, e che servono a determinare il rischio legato a fattori familiari. Eppure questa è solo una piccola percentuale rispetto ai casi che si sviluppano senza precedenti, e che corrispondono circa al 95%. Un recente studio ha lavorato proprio sull’identificazione del rischio negli adulti, e i risultati sono stati molto interessanti.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Neurology, parte da un’analisi ravvicinata dell’ippocampo – regione del cervello legata alla memoria – dei pazienti considerati. In che modo un minor volume dell’ippocampo si lega con il rischio di sviluppo di una forma di demenza come l’Alzheimer? In realtà, spiega la ricercatrice Elizabeth Mormino, in modo non definitivo:
Non siamo in grado di determinare se questi soggetti giovani con un elevato rischio svilupperanno effettivamente la demenza in tarda età, dato che non è possibile valutare questo tipo di progressione. Comunque sia, queste ricerche ci permettono di capire i meccanismi della malattia rivelando un impatto delle varianti di rischio addirittura decenni prima della manifestazione dei sintomi.
Lo studio condotto ha analizzato l’ippocampo di 166 persone con demenza e di 1026 persone senza demenza, con un’età media di 75 anni. Sono state considerate anche altre varianti genetiche alla base dello sviluppo della sindrome di Alzheimer. Quindi, lo stesso rischio è stato calcolato in 1322 soggetti tra i 18 e i 35 anni. Come anticipato, un ippocampo con un volume più piccolo è stato associato con un rischio maggiore di sviluppo della malattia. Ciò che è importante per i ricercatori è trovare un contatto tra l’Alzheimer genetico e quello “sporadico”, riducendo anche quest’ultimo a cause genetiche e che quindi possono essere individuate con largo anticipo.
Doug Brown, direttore del centro di ricerca alla Alzheimer Society, ha dichiarato:
Questo studio dimostra che, creando una graduatoria di rischio combinando vari fattori genetici, è possibile predire se una persona ha un maggiore rischio di sviluppo di problemi di memoria. La sfida è capire quanto questi punteggi possono essere accurati nel predire il rischio della persona. È di vitale importanza che questi test diano alle persone delle informazioni utili, ma senza causare panico inutile. Anche per questo ci servono più ricerche per sviluppare ancora di più questo metodo e assicurarci che i risultati siano accurati.
I risultati del test si collegano ad un altro studio, pubblicato nel marzo scorso, che rivelava differenze strutturali nell’ippocampo di giovani adulti con rischio più o meno alto. Tutto questo, ricorda Richard Isaacson, direttore della Alzheimer Prevention Clinic, decenni prima che i primi sintomi si manifestino.
Ci si chiede a questo punto come una diagnosi precoce si colleghi con un’adeguata prevenzione, e soprattutto se questa è possibile. I ricercatori sono fiduciosi. Isaacson ha aggiunto:
La paura può paralizzarci, ma il settore della riduzione di rischio di Alzheimer e della prevenzione della malattia sta esplodendo. È importante che le persone non si facciano prendere dalla paura e che i giovani non pensino che non c’è nulla da fare per ridurre il rischio e proteggere il cervello. Studi recenti finalmente ci hanno permesso di superare il concetto per cui “non c’è nulla da fare”. Ci sono molte cose che si possono fare. Ad esempio, giovani adulti a rischio possono intervenire sulla loro dieta per includere cibi che fanno bene alla mente, o fare attenzione ad avere un’adeguata quantità di esercizio e ore di sonno. Prima riusciamo a individuare il rischio e meglio è, e non è vero che non c’è nulla da fare.
Fonte: Edition – Alzheimers.org