Confrontarsi con la malattia del genitore: viaggio in tre libri
C’è molta semplicità e schiettezza nelle parole scelte da personaggi famosi per raccontare, nei libri che andremo a vedere, la loro esperienza personale con un parente affetto da una grave malattia. La trasparenza e la semplicità ci appaiono come le parole chiave scelte per affrontare – quasi per un bisogno personale, come dirà qualcuno – il senso del dolore e della perdita che consegue dal riconoscere la debolezza e malattia del genitore. Sono pagine in cui gli autori mettono a nudo i propri sentimenti: una figura guida come quella del genitore, fragile e “bellissima”, con cui si perde il contatto tradizionale, inizia a rivelarsi sotto una diversa luce.
È il caso di Romina Power che, nel suo Ti prendo per mano, ha scelto la forma del diario scritto da un personaggio di fantasia di nome Daria che si trova ad affrontare la malattia del genitore, in questo caso della madre. Se i nomi sono inventati, il senso dell’opera e le emozioni affondano nell’esperienza personale della cantante, che proprio con la madre Linda Christian, scomparsa a causa di un tumore nel 2011, ha vissuto una vicenda simile. Nella forma del diario, scelta per avvicinare di più il lettore, si avverte l’eco dell’esperienza autobiografica, confermata dall’autrice, che così ha ricordato la madre:
Era una donna che ammiravo da piccola, sempre precisa, si sapeva porre ed era a suo agio con chiunque, parlava sette lingue. Io invece mi sentivo goffa. Grazie alla scoperta del buddismo, di fronte alla malattia di mia madre ho capito che questo corpo non siamo noi, è di passaggio. Bisogna lasciar perdere il lavoro e il guadagno e dedicarsi alle persone che contano veramente.
Più diretto nel suo approccio è stato Giulio Scarpati, che in Ti ricordi la casa rossa scrive una lunga “lettera aperta” alla madre a poche settimane dalla sua scomparsa. Che si adoperi la forma del diario o quella della lettera aperta, la sensazione è che il bisogno primario sia quello di esorcizzare il dolore, quasi l’incredulità di fronte all’accaduto e alla malattia del genitore. Ed è ciò che lo stesso Scarpati, che ha assistito al lento avanzare della malattia di Alzheimer nella madre, ha tenuto a sottolineare:
All’inizio non vuoi vedere la realtà. Pensi semplicemente che non sia possibile. Non ti sfiora nemmeno il dubbio. Del resto hai vissuto una vita davanti a lei, e lei è sempre stata il capo, il condottiero, quella che decideva. Mia madre era la vita, l’intelligenza, il fare, l’attivismo. Come puoi pensare che, un giorno all’improvviso, la sua testa non ci sia più? E allora inizi a rimuovere il problema. Trovi ogni volta una scusa con te stesso. ‘Sarà stanca’ ti ripeti ma intanto l’Alzheimer avanza e se ne prende un pezzetto alla volta.
Quindi, contro una malattia che ha tra le altre conseguenze quella di portare i ricordi a svanire, la forza delle parole che rimangono su carta, per sostenere “il senso della memoria” che lo stesso autore ha tenuto a sottolineare. Nel presentare il testo, Scarpati ha ricordato le difficoltà affrontate nella stesura, la fatica nell’affrontare le circostanze più dolorose nella malattia del genitore, lasciate volutamente verso la fine. Infine, la circostanza più tragica, la morte, quella giunta però dopo la conclusione del testo, dopo che l’autore aveva avuto modo di farlo leggere a parenti e amici, spingendoli a ricordare – appunto – la persona cui era dedicato.
E ancora di testimonianza di Alzheimer si parla in Visto con i tuoi occhi di Manuela Donghi, giornalista e conduttrice radiofonica e televisiva. In questo caso, come ci suggerisce il titolo, l’immedesimazione con il malato è davvero forte, e spingerà la protagonista a mettersi a confronto diretto con se stessa. Anche in questo caso l’esperienza di partenza, l’ispirazione se vogliamo, è una parentesi autobiografica, quella della nonna materna dell’autrice, che negli ultimi venti anni della sua vita ha dovuto convivere con l’Alzheimer.
La storia è ambientata in una casa di riposo per anziani, frequentata dalla giovane protagonista – appena sedici anni – che però non ha nessun parente ricoverato nella struttura. Anche in questo caso la forma scelta è quella di un diario, nel quale si sovrappongono gli eventi nella struttura, ancorati a un “eterno presente” con quelli che riguardano la vita privata della giovane, alle prese con amici, scuola e famiglia. La prospettiva in questo caso, come negli altri due elencati, non è mai scientifica o divulgativa. Si parla di emozioni attraverso un approccio umano e sincero, che riesce a farsi strada anche attraverso la finzione della storia.
Il libro è stato realizzato in collaborazione con Korian Italia e con l’Associazione Amici del Centro “Dino Ferrari”, cui verrà devoluto parte del ricavato.