Still Alice: un modello per la consapevolezza sull’Alzheimer
Fa un certo effetto scoprire che nove anni fa la neuroscienziata Lisa Genova dovette ricorrere all’autopubblicazione per vedere stampato il proprio romanzo sull’Alzheimer intitolato Perdersi, dopo i molti rifiuti ricevuti dalle case editrici. Un effetto ancora maggiore se consideriamo che, nel 2014, il film, intitolato Still Alice, tratto dal libro ha permesso a Julianne Moore di aggiudicarsi l’Oscar come Migliore Attrice. Verrebbe da chiedersi quale sia la forza che un libro – anche un titolo non divulgativo o scientifico – può esercitare sul pubblico, e se può essere considerato un valido strumento per “svegliare le coscienze”. Nel caso di Perdersi, la risposta appare positiva.
Il testo, così come il film, di cui avevamo fatto cenno in questo articolo, è centrato sull’esperienza con l’Alzheimer di una donna ancora giovane, nel pieno della carriera, che improvvisamente vede crollarsi il mondo addosso in seguito alla scoperta. Il graduale declino della memoria si accompagna a una continua riflessione, una consapevolezza alla quale non si cerca mai di sfuggire con un rifiuto. Questa stessa consapevolezza il romanzo sembra averla creata nella comunità di lettori che si è avvicinata all’opera, come sostiene la stessa autrice:
Credo che Still Alice abbia facilitato un maggiore dibattito sull’Alzheimer, una malattia che per molto tempo è stata considerata troppo spaventosa e portava con sé un marchio sociale troppo forte per poterne parlare. Quel dibattito ha appiattito il marchio sociale, riportando le persone all’interno della comunità, facendo crescere una consapevolezza più compassionevole.
L’ispirazione, se così si può chiamare, dell’autrice parte dalla sua stessa famiglia, da quando a sua nonna venne diagnosticato l’Alzheimer. Eppure la protagonista della storia è un personaggio molto diverso. La stessa decisione di rendere una persona relativamente giovane come centro della sua storia non è stata casuale:
Per troppo tempo l’Alzheimer è stato identificato come una malattia della tarda anzianità. Perché non si parla delle milioni di persone nei loro 40, 50, 60, 70 anni che convivono con l’Alzheimer? Volevo dare a queste persone un volto e una voce.
Al di là di una maggiore consapevolezza nei confronti della malattia, il senso di protezione che quasi naturalmente lo spettatore o il lettore possono provare con la protagonista, la difficoltà nell’accettarne il lento degrado, sono alla base di altre considerazioni. La demenza non viene più vista – in generale dalla comunità scientifica – come un qualcosa contro la quale non si può fare nulla, ma anzi sono varie le strade da percorrere per ridurre il rischio e massimizzare la qualità della vita del malato.
E, ricollegandoci alle parole dell’autrice, aver dato un volto, ma anche una prospettiva umana alla malattia di Alzheimer, ha aiutato a spostare lo sguardo dai medici e scienziati a qualcuno che prova sulla propria pelle la sindrome. Genova ha proseguito nella sua carriera di scrittrice, che si affianca a quella di neuroscienziata, scrivendo altre tre opere tutte dalla prospettiva di un malato. I motivi li spiega lei stessa:
Avevamo bisogno della prospettiva di Alice. Ci dà una possibilità per capire questa malattia, che è così sconvolgente e da spezzare il cuore, dall’interno. La maggior parte delle persone non legge riviste di neuroscienze per capire qualcosa sull’Alzheimer o l’autismo o la malattia di Huntington. Ma potrebbero leggere un romanzo. La fiction è un veicolo per il pubblico generico per imparare qualcosa sui disordini neurologici.
Fonte: carehome