Caregiver in Lombardia e VillageCare: l’aiuto possibile ai 360mila “invisibili”
Cosa vuol dire essere “caregiver”? Significa essere “invisibili”. Lo si evince dai dati raccolti in Lombardia dall’indagine promossa dalle sezioni regionali di Ars e Acli, in collaborazione di Acli Cgil, nel merito del progetto di ricerca “Time to Care”.
Una vera e propria categoria lavorativa “muta”, che non rivendica, non chiede aiuti esterni al proprio circolo familiare, né fa sentire la propria voce all’interno della società. Solo in Lombardia operano ben 360mila caregiver familiari, la prima e più rilevante risposta di aiuto che viene data a una persona con disabilità o a un anziano non autosufficiente. E sul territorio regionale, su 10 milioni di residenti, 2,2 milioni sono anziani (over 65) , 510mila dei quali non autosufficienti.
Essere “caregiver”: un’attività ad “alta intensità”
Quella del caregiver è un’attività “ad alta intensità”: uno su due vive insieme all’anziano in difficoltà, il 94% lo assiste quasi tutti i giorni, mentre 8 intervistati su 10 dichiarano di dedicare all’anziano almeno 20 ore settimanali. Un altro dato significativo sta nel fatto che solo in 3 casi su 10 l’attività assistenziale è condivisa con una figura professionale (badante). Questo suffragato dal fatto che un caregiver su due ritiene che dei compiti di cura debba occuparsi esclusivamente (o, quanto meno, in misura prioritaria) la stessa famiglia e non qualcun altro di esterno (servizi statali compresi).
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Sono essenzialmente tre i profili individuati nel mondo dei caregiver in Lombardia: il figlio lavoratore (38%), impiegato in larghissima misura a tempo pieno, che in ben due casi su tre dichiara di sacrificare pesantemente il proprio tempo libero a favore dell’attività di cura. Il figlio non lavoratore (29%) ha, in un caso su quattro, dovuto lasciare il proprio impiego per fronteggiare le necessità dettate dall’attività assistenziale. Poi c’è il coniuge, anch’esso anziano (73 anni) e poco soddisfatto della propria vita, pochissimo fruitore della tecnologia, isolato dal contesto sociale e dai servizi pubblici a disposizione.
Su quest’ultima scorta, occorre ricordare che i caregiver invecchiano: rispetto all’analisi condotta cinque anni fa, l’età media si è alzata di due anni, passando dai 58 ai 60. Questo significa come non ci sia più solo una dinamica di caregiver che accudiscono sia i genitori che i figli (il 30% li ha conviventi), ma anche di caregiver che accudiscono i genitori, i figli e i nipoti.
Una realtà femminile, quella assistenziale, ma dalle proporzioni non così nette. Tra i vari spunti di riflessione, però, è molto importante quella relativa all’ “aiuto competente”: se nel 60% la salute degli anziani viene considerata molto problematica, sono in costante aumento i casi di demenza senile, il che interroga sulle reale competenze dei caregiver interni alla famiglia. Competenze che ci si trova spesso a dover drammaticamente inventare.
Di cos’hanno bisogno le famiglie che si “prendono cura”?
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: di che cosa hanno bisogno le famiglie? La maggior parte di esse non lo sa bene, oppure – quasi la metà – risponde “di nulla”. In un caso su tre si chiede un aiuto economico, mentre in un caso su 10 di un sostegno a domicilio, oppure di una badante. Sono molto poche, invece, le famiglie interessate a ricevere un supporto psicologico (7%), a ricevere una formazione (5%) o a partecipare a gruppi di mutuo aiuto (2%).Si procede sulla strada del “tutto in famiglia”: nonostante l’attività di assistenza sia spesso condivisa con un altro famigliare (76%) e non con una figura professionale, un caregiver su due si sente isolato, poco sostenuto nell’assolvimento delle proprie attività assistenziali, specie da parte delle istituzioni, e vorrebbe essere sollevato quanto meno di una parte del gravoso carico di cura. E questo senso di isolamento risulta maggiormente avvertito dai coniugi caregiver, i quali sentono il peso dell’età che avanza.
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Perché le famiglie usano poco i servizi pubblici? Semplicemente perché – tra il 60 e il 90% – non li conoscono o sono poco interessante a utilizzarli. Il perché è presto detto: si ha paura dei costi alti (24%) e delle difficoltà burocratiche di accesso agli stessi (28%). Ad essere maggiormente utilizzato è il servizio di assistenza infermieristica a domicilio (17%) , seguito dal trasporto da o nelle strutture ospedaliere (6%). Risulta scarso anche il ricorso a strumenti informatici innovativi, che vengono utilizzati solo da una minoranza irrisoria degli intervistati.
VillageCare, una “bussola” per le famiglie “caregiver”
L’immagine complessiva che ne risulta da questa indagine è un netto spaesamento da parte delle famiglie in tema di assistenza del genitore non autosufficiente: la maggioranza degli intervistati pensa infatti di non aver bisogno di aiuti esterni, forse perché non è cosciente di come attivarli.
VillageCare, in questo senso, costituisce una risposta concreta e un punto di riferimento per i figli “caregiver”, in qualità di primo portale nazionale di orientamento e sostegno.
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“VillageCare nasce per gestire tutte le fragilità di una popolazione anziana in continua crescita, come conferma la ricerca lombarda – spiega Silvia Turzio, CEO e co-founder di VillageCare – Il nostro metodo e i dati a disposizione ci permettono di soddisfare il bisogno che molte persone hanno di essere orientate, accompagnate e informate verso la soluzione assistenziale migliore. Con un fondamentale risparmio di tempo, bene prezioso nell’equilibrio quotidiano del ’familiare’, sempre più oberato dagli impegni assistenziali e, di conseguenza, meno lucido nel loro assolvimento”.
“Siamo in grado di accogliere qualsiasi richiesta, da Aosta a Palermo – prosegue Silvia Turzio – Ogni mese sono oltre 25mila le famiglie che ci seguono, negli ultimi due anni abbiamo gestito 6mila famiglie con consulenze personalizzate in base alle singole necessità. Tra i fenomenti osservati e di cui tenere conto, non c’è soltanto l’urgenza di figli che devono prendersi cura di genitori che abitano lontano. Un altro fenomeno che continuerà a crescere è quello degli anziani single, che magari non si sono sposati o sono rimasti vedovi e ci chiedono soluzioni abitative nuove“.
Articolo relativo al convegno “Gli invisibili. Essere Caregiver in Lombardia”, Milano, 20 novembre 2019
Photo credit e Autore: Stefano Fonsato, Giornalista