Come prendersi cura del coniuge fragile e salvare la relazione
La vita si è allungata rispetto a qualche decade fa grazie alla ricerca, al progresso e ad uno stile di vita che ci permette di vivere più a lungo. Spesso la longevità coincide anche con la comparsa di problematiche fisico-motorie o cognitive che, oltre a minare la propria qualità della vita, implicano il coinvolgimento di una o più persone che debbano supportare, assistere e a volte sostituire il soggetto nella sua quotidianità.
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Sia che l’evento scatenante la disabilità sia improvviso (es. ictus) oppure progressivo (es. Alzheimer), chi si occupa della persona anziana deve modificare il suo vivere e la sua relazione e di conseguenza percezioni, comportamenti e vissuti relativi ad una vita trascorsa in un determinato modo.
In particolare quando si tratta del coniuge fragile con cui per tutta la vita si è intrattenuta una relazione di tipo affettivo, si è costruita una famiglia e un progetto di vita potendo contare sempre uno sull’altro.
Come salvare la relazione con il proprio coniuge, quando ci si trova di fronte a questa situazione nuova di cura? Ne parliamo con la Dott.ssa Katia Stoico, Psicologa e Psicogerontologa.
Cosa succede quando un nostro caro anziano si ammala?
“Di fronte alla malattia il rapporto con l’altra persona cambia inevitabilmente, il timore di non essere all’altezza e di non farcela è costante. Il caregiver è la figura che si prende maggiormente cura del malato, che si preoccupa del suo stato di salute e di benessere, che se ne occupa anche dal punto di vista pratico. Nella maggioranza dei casi, il caregiver è un figlio (spesso non ancora in pensione e con una propria famiglia di cui occuparsi) o un coniuge (anziano e a sua volta con problemi di salute)”.
Parliamo proprio del coniuge: cosa succede in una coppia, in questo caso anziana, nelle prime fasi di questo percorso?
“Non è facile, il percorso che porta alla diagnosi di Alzheimer ad esempio, è spesso lungo e si tratta di un periodo durante il quale il vissuto della coppia è particolarmente faticoso. La persona fragile si rende conto di non essere più la stessa di prima, di avere dei deficit che minano la sua identità e quindi è spesso depressa oppure agitata e nervosa, irascibile. Il coniuge si confronta quotidianamente con le stranezze del proprio caro, con la fatica assistenziale, con la speranza di ottenere alla fine una diagnosi diversa, con una costellazione di sentimenti che vanno dalla rabbia alla compassione per quello che sta accadendo ad entrambi.
Ciò porta a difficoltà relazionali molto intense che rendono la quotidianità sempre più faticosa: sia con la persona fragile sia tra gli altri componenti della famiglia, i figli in questo caso, che non sempre la pensano allo stesso modo. Passano quindi anche alcuni anni dai primi sintomi, spesso sottovalutati o camuffati, all’arrivo allo specialista che segue poi il malato. La diagnosi porta sicuramente due aspetti contraddittori:
- Disperazione, per l’ineluttabilità del verdetto
- “Un sospiro di sollievo” e quindi rassegnazione per aver compreso la natura dei disturbi del proprio caro e per poter finalmente fare qualcosa per lui
Da questo momento inizia un percorso, lungo e difficile, di continua riorganizzazione quotidiana, adattamento ai cambiamenti e alle continue perdite del proprio caro che portano necessariamente ad un affaticamento psico-fisico del caregiver”.
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Quali sono le emozioni del coniuge “caregiver”?
“E’ chiaro che c’è nel coniuge fragile un peggioramento delle condizioni generali di vita. Ma accanto alla disperazione, alla solitudine, alla rabbia, all’abbandono, … ci sono la speranza, la forza, l’amore. Perché queste persone meravigliose, pur estremamente affaticate, sperano sempre che le condizioni di vita del proprio congiunto ammalato possano essere migliori di quanto la malattia faccia degradare. La speranza maggiore è che l’altro stia meglio, spesso sacrificando il proprio benessere.
Purtroppo in queste storie a volte il caregiver si ammala e sta anche peggio del coniuge, in termini di aspetto fisico e di salute, come se il carico della cura lo schiacciasse. Ma lui prosegue nel suo impegno finchè le forze glielo consentono, perché è convinto che il proprio amore e la propria devozione siano insostituibili e che nessuno potrà occuparsi nello stesso modo del proprio caro”.
Quali sono i vissuti del familiare nel percorso di malattia?
- Tristezza
- Depressione e angoscia
- Rabbia
- Preoccupazione, paura e incertezza
- Svuotamento di senso del futuro (vita apparentemente sospesa), oppressione
- Imbarazzo
- Senso di colpa (sentimenti di impotenza e inadeguatezza nello svolgimento del proprio ruolo)
- Solitudine
- Nostalgia
- Rassegnazione
E di cosa necessita dunque il caregiver?
- Sostegno materiale
- Informazioni sulla malattia, formazione
- Orientamento sul territorio
- Sostegno psicologico (elaborazione perdita, difficoltà relazionali, inversione dei ruoli…)
- Vicinanza emotiva, accompagnamento, condivisione.
Come si può affrontare questa fase senza esserne travolti?
“Di fronte ad eventi come questi la fatica è tanta, si impone una totale revisione dello stile di vita, dei modelli relazionali e delle modalità comunicative. Ma è possibile, se supportati ed accompagnati, gestire la malattia e quindi affrontarla anziché subirla e quindi soccombere.
Diviene importante sostenere i caregiver, affiancarli, prenderli per mano, perché per occuparsi bene di qualcuno non bisogna perdere di vista se stessi, le proprie necessità ed i propri desideri. Fondamentale è conoscere la malattia, saperla gestire, relazionarsi in maniera corretta con la persona e sentirsi supportati nel proprio ruolo assistenziale da una persona competente ed esperta.
Occorre anche prendersi cura di se stessi, non annullarsi nel ruolo di caregiver che può portare rabbia, insofferenza, frustrazione. Il rischio è che nell’occuparsi in maniera totalizzante del nostro coniuge fragile che necessita del nostro completo aiuto ci dimentichiamo di noi, di quello che eravamo e di quello che avremmo sognato di diventare. Ma non siamo fatti per impersonificare due persone, siamo nati singoli e semmai l’altro in qualche modo prima ci arricchiva, ci completava in un certo senso. Oggi invece viviamo la sua presenza (o forse dovremmo dire metaforicamente la sua assenza) come fatica, limitazione, a volte disperazione. Purtroppo questo difficile periodo che abbiamo vissuto tutti quanti ed in cui siamo ancora immersi, con l’ansia portata dal virus e le limitazioni e stravolgimenti delle nostre abitudini che ne sono conseguite, non hanno sicuramente migliorato la situazione delle famiglie che vivono questa drammatica realtà”.
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Come ha influito il Covid in questa situazione già complessa?
“L’impatto del Covid in questi casi è stato maggiore che in altre situazioni: il “caregiver” familiare si è trovato completamente solo, sia nei rapporti personali che nell’occuparsi del proprio coniuge fragile. Chi disponeva di aiuti domiciliari di sostegno, privati o familiari, ha dovuto rinunciarvi per timore di contrarre il virus ed anche gli altri parenti e amici hanno ridotto o evitato le frequentazioni. Le giornate da trascorrere con il proprio caro sono diventate lunghissime perché non erano intervallate da attività esterne, sia rivolte solo al malato che comuni. I disturbi comportamentali della persona cara spesso sono aumentati perché non era più stimolato in maniera specifica, o intrattenuto, non si poteva uscire ed anche lui si è stancato e quindi spesso si è agitato o innervosito.
Sono stati bravi i caregiver, hanno riorganizzato le giornate e le attività, hanno inventato delle attività da far fare al proprio coniuge (sia di movimento che cognitive), gli sono stati accanto più ancora di quanto hanno sempre fatto”.
Come si può affrontare questa fase senza esserne travolti, quali consigli pratici?
“E’ importante riuscire a recuperare la propria individualità e soggettività, il proprio benessere e progettare il futuro. Tre suggerimenti pratici possono essere lo spunto per non perdere di vista se stessi e dare la giusta importanza alla propria vita. Mi rivolgo direttamente ai caregiver.
- La cura di voi. Siete tanto attenti alla cura del vostro caro, ma trascurate la vostra! L’alimentazione è importante soprattutto per stare meglio fisicamente (ad es. troppi zuccheri e carboidrati affaticano il fisico ed il cervello), il movimento anche, ma aggiungerei qualche sana coccola: una piega ben fatta che ci fa sentire in ordine, un po’ di trucco, non indossare solo abiti da casa. Vederci in ordine e ben curati ci fa sentire meglio perché il rischio è di non riconoscerci più e di non piacerci! E cura di voi significa anche non trascurare la vostra salute. Sento spesso dire… ho un sacco di visite da far fare al mio caro…ma le vostre? Le impegnative restano nel cassetto. Ricordatevi che per occuparvi del vostro coniuge fragile dovete essere in salute, sia fisica che psicologica. Il sostegno di una figura esperta e preparata ad accompagnarvi in questo lungo e faticoso percorso, per sostenervi e consigliarvi, come uno psicologo, non è meno importante del cardiologo che cura il vostro cuore o dell’ortopedico che cura le vostre ginocchia!
- Ciò che vi piace fare. Il tempo da dedicare a voi stessi è sempre poco, è difficile ritagliarsi degli spazi, o vi occupate del vostro coniuge fragile o delle incombenze quotidiane che sono tante. Con questo ritmo però ad un certo punto la situazione diventa frustrante e spesso ci incattiviamo verso la situazione (e verso lo stesso malato che in un certo senso ne è un po’ la causa). Ma siamo sicuri che non siamo noi a non essere capaci di sfruttare bene il poco tempo libero che possiamo avere? Oppure a chiedere aiuto e a delegare a volte per qualche ora qualcun altro alla cura del vostro caro? Non volete pesare sugli altri, sui figli o i fratelli o altri parenti, non siete capaci di chiedere aiuto, che fatica chiedere aiuto se non sono gli altri che si propongono! Qui faccio una piccola parentesi sulle aspettative che spesso riponiamo negli altri: ci aspettiamo che dicano o facciano quello che noi faremmo o diremmo al loro posto. Ma loro non sono noi e non possiamo aspettarci che i comportamenti delle altre persone rispecchino i nostri o rispondano ai nostri desideri. Glieli dobbiamo esprimere questi desideri, dobbiamo chiedere aiuto, dobbiamo esternare ciò che pensiamo e non restare in eterna attesa. E non pensate che per gli altri sia sempre un “peso”, anche gli altri familiari possono aver piacere di trascorrere un po’ di tempo con la persona fragile. Spesso le persone intorno a voi si sentono anche in colpa perché non sanno come aiutarvi. Se poi non abbiamo proprio nessuno possiamo farci aiutare da un assistente qualificato che per qualche ora possa occuparsi del nostro caro ed anche lui avrà goduto della presenza di un amico diverso con cui fare cose diverse.
- Continuate ad avere progetti e sogni. Vi chiederete quali? Un viaggio o una gita, con il nostro coniuge fragile oppure senza, organizzando un’assistenza, cominciare a pensare di strutturare una rete di sostegno (ipotizzare aiuti domiciliari o un centro diurno), riprendere o iniziare un corso di ginnastica o di yoga o di altra natura, occuparci dei propri nipotini, passare del tempo con i propri figli, anche adulti… Perché l’essere umano vive nell’oggi, è il frutto del suo passato, ma soprattutto sogna il suo futuro.
Psicologa Clinica, Psicogerontologa, Esperta di Consulenza Sistemico-Relazionale, la Dott.ssa Katia Stoico dal 2002 collabora come libera professionista con diversi Enti privati di Milano (Onlus, Centri Diurni, RSA, Cooperative sociali) con posizione di Psicologa – Psicogerontologa (colloqui di sostegno, counseling e psicoeducazione ai caregiver degli anziani, formazione volontari, gestione gruppi familiari Alzheimer Cafè Milano e gruppi AMA, programmazione e progettazione servizi). Si occupa di attività di ricerca, pubblicazioni, docenze, formazione e ha uno studio privato in provincia di Milano.