Figli Caregiver: come aiutare i propri cari anziani partendo da se stessi
Sebbene tutti sappiamo che i nostri genitori anziani, con il passare degli anni, avranno inevitabilmente bisogno delle nostre cure e attenzioni, quando ciò accade ci troviamo impreparati. Non sappiamo come organizzare la loro quotidianità, come aiutarli o supportarli, come dividere il nostro tempo con tutto il resto – il lavoro, la nostra famiglia, la nostra casa.
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Questo fenomeno spesso accade improvvisamente, non ci sono avvertimenti, il nostro genitore si ammala e noi cerchiamo inizialmente soluzioni improvvisate e temporanee, per poi accorgerci che stiamo annaspando e che abbiamo bisogno di un aiuto.
Un aiuto che sia pratico, organizzativo, materiale, ma anche psicologico e di sostegno alla nostra emotività e ai nostri vissuti, che ci permetta di vivere questa nuova fase della vita nella maniera meno frustrante e faticosa possibile, che non ci assorba a tal punto da annullare il rapporto con il nostro genitore – perché troppo impegnati a districarci nella rete della quotidianità – ma anche il nostro rapporto con gli altri e con noi stessi.
Cosa fare quindi in questi casi? Ne parliamo con la Dott.ssa Katia Stoico, Psicologa e Psicogerontologa.
“Il percorso di accettazione e richiesta di un aiuto è lungo. Prima cerchiamo da soli di sobbarcarci l’onere assistenziale, organizzativo, emotivo, facendo del nostro meglio per esserci per tutti, in un rapido esaurimento di forze psico-fisiche. Noi non esistiamo più, i bisogni degli altri e soprattutto dei nostri genitori anziani hanno la precedenza.
Quando poi la malattia che colpisce il nostro caro è degenerativa – che lo porta via da noi prima con la mente che con il corpo – le difficoltà sono amplificate e le implicazioni emotive sono maggiori. Il nostro caro non capisce, si arrabbia, a volte diventa aggressivo, noi ci facciamo in quattro per aiutarlo, ma ci sembra di non esserne in grado e tutto ci sembra inutile!”
Qual è la sua esperienza professionale?
“Nel mio quotidiano sostegno ai figli caregiver di genitori anziani con Alzheimer o demenze di varia natura, incontro spesso vissuti di questo tipo ed il malessere che ne deriva pervade ogni sfera della loro vita. Frequentemente, accanto alla tristezza e all’impotenza di fronte alla malattia, si vivono stati di ansia pervasiva, in cui anche l’impatto fisiologico è pressante (tachicardia, sudorazione, giramenti di testa, nausea…). Recentemente il figlio di un signore mi ha riferito di essere in malattia dal lavoro a causa di una forma di ansia che gli impediva di concentrarsi e portare a termine i suoi impegni lavorativi.
E le conseguenze sono quelle di una trascuratezza della propria persona, della salute, fisica e mentale, ma anche di ciò che ci fa stare bene e ci restituisce un’immagine positiva di noi, di quegli elementi insomma che sostengono la stima di noi stessi e ci incoraggiano ad affrontare anche le difficoltà della vita. Diveniamo quasi fragili, noi che non possiamo permettercelo perché dobbiamo essere forti prima di tutto per il nostro genitore vulnerabile e per tutti quelli che fanno riferimento a noi!”
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Cosa consiglia di fronte a questa situazione?
- Il primo passo è fermarsi, osservarsi e comprendere che da soli non ce la possiamo fare a reggere questi ritmi e questi carichi
- Il secondo è avere la consapevolezza che per aiutare una persona fragile dobbiamo avere un grande equilibrio e quindi dobbiamo per prima cosa curare i nostri bisogni, fisici e mentali. Dobbiamo insomma mettere noi al primo posto. Io dico sempre ai miei pazienti “ricordiamoci che noi siamo la persona più importante per noi, con cui dovremo vivere per sempre e che quindi dobbiamo curare e rispettare”.
- Il terzo passo è affidarsi, farsi aiutare, cercare un sostegno, sia materiale che psicologico, qualcuno che ci affianchi e che ci ricordi che siamo importanti, che ci curi le ferite quando sono aperte, che ci sostenga nei momenti più difficili e con cui possiamo condividere le decisioni più importanti sui nostri genitori anziani. Per occuparci bene di qualcuno abbiamo anche bisogno che qualcuno si occupi di noi!
Organizziamo le nostre giornate, ma prendiamoci anche qualche momento di ozio, in cui non facciamo nulla se non ascoltarci e stare con noi stessi per avere più consapevolezza delle nostre emozioni, dei nostri vissuti, in tutto ciò che facciamo. Ricordiamoci che il buonumore ci fa sentire più sereni, carichi e lucidi e ci dà fiducia e coraggio nell’affrontare i problemi, assumendoci la responsabilità di agire”.
In questo discorso come si inserisce il tema dell’alimentazione, spesso poco considerato?
“E’ ampiamente conosciuto il collegamento tra emozioni e pensieri “negativi” e le ricadute sui nostri comportamenti e sulla nostra salute psico-fisica. La noia, la solitudine, la rabbia, l’ansia, possono portarci ad associare al cibo un’importanza eccessiva o, all’opposto, un ruolo secondario. E i rischi li conosciamo: aumento del peso (oppure diminuzione eccessiva), interferenze con la nostra salute ma anche malessere percepito. A ciò si aggiunga un movimento ridotto del corpo e la combinazione diviene esplosiva!
Con il cibo noi gestiamo le nostre emozioni. Si parla spesso di “fame nervosa” o di “fame emotiva”: ci sembra che con il cibo possiamo tenere sotto controllo le nostre emozioni negative, invece il risultato è esattamente il contrario. Ci sentiamo ancora peggio e ci sembra che non possiamo controllarci. La fame nervosa è dovuta a meccanismi psichici, che ci portano a mangiare in modo automatico, compulsivo e mai sano.
Abbiamo sperimentato più volte come il nostro umore spesso dipenda dagli altri o dalle cose che accadono attorno a noi. Ciò ci mette in uno stato di incertezza ed imprevedibilità – è come se ci mancasse il controllo sulla nostra vita – creandoci stress, ansia e tensione. Aspettare che gli altri risolvano la situazione (o facciano e dicano ciò che desideriamo sentire) per poter modificare i nostri vissuti ci porta a vivere in uno stato perenne di tensione, nervosismo e cattivo umore.
In questi momenti che cerchiamo dei meccanismi compensatori di controllo. Ossia non possiamo controllare gli altri o ciò che succede, ma possiamo mettere in atto comportamenti che ci danno la sensazione di avere il controllo e che ci gratificano. Alcol, stupefacenti, ma molto semplicemente cibo, contenente soprattutto zuccheri che, grazie alla dopamina prodotta, ci danno una sensazione di piacere e appagamento. E’ però una sensazione solo immediata, ci sembra di aver superato il vuoto e l’insoddisfazione, oppure l’angoscia. Peraltro la sensazione del benessere di quel momento è anche anticipatoria, quindi ci pregustiamo la sensazione positiva che avremo mangiando un bel dolce e non possiamo dunque rinunciarvi.
E’ ciò che sta accadendo in questo particolare momento storico, in cui un evento avverso e imprevedibile – la pandemia – sta generando in molti di noi questi meccanismi”.
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Lo stesso discorso vale anche al contrario, cioè in coloro che mangiano poco o in maniera scorretta?
“Certo. La depressione, l’ansia e soprattutto la mancanza di risorse di sostegno (materiali e psicologiche) può portare il soggetto ad alimentarsi poco ed in maniera scorretta. Non c’è tempo per cucinare bene, si improvvisano pasti rapidi – quindi spesso poco sani – addirittura si saltano i pasti ed il fisico a lungo andare crolla. Spesso i figli caregiver iniziano a manifestare problematiche fisiche legate a questi aspetti, sento frequentemente racconti di reflussi, coliti, diarrea, nausea, mancanza di forze, perdita di capelli….se non situazioni più gravi. Ricordiamoci che l’alimentazione è il carburante per la nostra vita, se non nutriamo e curiamo il nostro corpo questo prima o poi si inceppa e non solo non aiutiamo noi stessi, ma neanche chi necessita del nostro aiuto, come il nostro genitore fragile.
I familiari caregiver, al contrario, sono molto attenti verso l’alimentazione dei propri anziani e seguono alla lettera le indicazioni degli specialisti. Ne curano quantità e qualità, i macronutrienti e le varie composizione, gli forniscono integratori e vitamine, la cura farmacologica è molto precisa. Tutto ciò che non fanno per loro stessi”.
Cosa fare quando il cibo diventa oggetto delle nostre ansie?
“Occorre prima di tutto saper distinguere quando la fame è reale. Quando ci viene il desiderio di mangiare, proviamo a porre attenzione alle sensazioni del corpo. Se abbiamo mangiato da poco, si tratta del desiderio di una soddisfazione differente, prendiamone coscienza e se ci riusciamo cerchiamo anche di comprenderne il motivo. Puntiamo su piccoli spuntini possibilmente poco calorici e sani (es. un frutto, una fetta di dolce fatto in casa, un pezzo di cioccolato fondente), godendo sapori e odori, senza distrazioni, altrimenti non ne avremo registrato le sensazioni positive e ne avremmo ancora bisogno.
La mindful eating ci può insegnare ad avere un’alimentazione consapevole e a riconquistare un rapporto sereno con il cibo. Impariamo a distinguere gli aspetti psicologici dell’esperienza emotiva dagli stimoli di fame e sazietà, a osservare i pensieri come eventi mentali e null’altro, ad avere consapevolezza dei propri stati interni e ad accettare le emozioni come parte dell’esperienza umana, con minore reattività ad esse.
Prefiggiamoci che oltre ai 3 pasti principali possiamo (e dobbiamo) effettuare solo 2 spuntini (uno a metà mattina e uno a metà pomeriggio). Occorre trasformare la forma di piacere in una sana abitudine che non venga vissuta come privazione o dolore. E poi impariamo a mangiare quei cibi che ci danno maggiore senso di sazietà.
La programmazione dei pasti settimanali può essere una buona soluzione sia per il poco tempo a disposizione che per evitare di trascurare alcuni fondamentali macro e micro nutrienti”.
Psicologa Clinica, Psicogerontologa, Esperta di Consulenza Sistemico-Relazionale, la Dott.ssa Katia Stoico dal 2002 collabora come libera professionista con diversi Enti privati di Milano (Onlus, Centri Diurni, RSA, Cooperative sociali) con posizione di Psicologa – Psicogerontologa (colloqui di sostegno, counseling e psicoeducazione ai caregiver degli anziani, formazione volontari, gestione gruppi familiari Alzheimer Cafè Milano e gruppi AMA, programmazione e progettazione servizi). Si occupa di attività di ricerca, pubblicazioni, docenze, formazione e ha uno studio privato in provincia di Milano. Si occupa anche di Mindful Eating.