Monitorare anziani 24 ore su 24: la tecnologia invisibile che non cambia le abitudini
Voleva guidare una donna di 50 anni, affetta da demenza, attraverso comportamenti che la maggior parte delle persone dà per scontati, e invece Alex Mihailidis ha perfezionato un sistema per modellare l’appartamento del futuro. La definisce “smart home”, cioè una casa intelligente, dotata di sensori e sistemi con cui monitorare anziani in modo non invasivo. Sono loro i destinatari ideali del progetto: tra tecnologia e medicina, un sistema per monitorare 24 ore su 24 la salute degli anziani e, in alcuni casi, anticipare la diagnosi di gravi patologie. Un aiuto valido, anche perché non intacca le abitudini dei pazienti, ma che non toglie nulla al valore dell’assistenza familiare.
Oggi direttore scientifico ad un istituto di riabilitazione a Toronto, Mihailidis ha perfezionato l’utilizzo di un certo tipo di tecnologia non invasiva destinata al miglioramento della vita dei pazienti più anziani. Non si tratta solo di monitoraggio, come spiega lui stesso: “È qualcosa di più destinato agli adulti in là con gli anni che hanno un qualche tipo di deficit cognitivo, un progetto che sta ottenendo molto interesse e che potrebbe spianare la strada a questi robot per farli diventare qualcosa di comune nelle case delle persone”.
Ma non si tratta solo di tecnologie. Si tratta di strumenti – comunque non nuovi e testati da anni da molte aziende anche in Italia – che vengono sfruttati per raccogliere, tramite sensori e apparecchiature varie, dei dati. I dati vengono analizzati continuamente, si notano dei comportamenti ricorrenti – se ci sono – e si possono interpretare gli schemi che vengono fuori come risultati. Si tratta di mettere a confronto i comportamenti più recenti con quelli seguiti per tutta la vita e scoprire se si sono manifestati dei cambiamenti, e in che misura.
Per far questo sono stati applicati dei sensori nelle case di 300 adulti nella zona di Portland. In concreto si tratta, ad esempio, di apparecchi inseriti nei cuscini del divano che possono eseguire un elettrocardiogramma, o mattonelle del pavimento che misurano la pressione arteriosa. I risultati si sono dimostrati fin da subito significativi: “Per esempio, abbiamo alcuni risultati preliminari che ci mostrano come, raccogliendo appena per tre mesi dei dati dalla casa di una persona, possiamo predire con il 90% di accuratezza che quella stessa persona svilupperà una forma di demenza”.
Cosa cambia rispetto ai normali controlli? Qui si parla di un monitoraggio continuo, quotidiano, che elimina le difficoltà di quei pazienti più anziani che non riescono a eseguire un controllo regolare. Qui il controllo, al contrario, è il meno invasivo possibile (l’obiettivo è che i pazienti non ci facciano più caso), ma al tempo stesso è più presente. Senza interventi diretti delle famiglie, senza obbligare i pazienti a indossare i sensori. Come è facile da immaginare, la sperimentazione è un conto, ma l’applicazione su vasta scala è un’altra cosa. Spiega Mihailidis: “Non ci sono molte compagnie che bussano alla nostra porta e ci dicono: hey, ci occupiamo di tecnologia per aiutare gli anziani, prendiamo il vostro lavoro e commercializziamolo”.
Il miglioramento delle “fredde” tecnologie non può tuttavia sostituire il calore familiare e il valore dell’assistenza. Si tratta di strumenti che nascono per affiancare i caregiver, ma è lo stesso direttore scientifico a porre il dubbio che queste tecnologie potrebbero portare a una diminuzione dei contatti sociali: “Sicuramente non vogliamo dire che queste tecnologie sono dei rimpiazzi dell’assistenza o dei contatti umani. Sono strumenti che le famiglie possono usare per fornire una migliore assistenza”.
Fonte: theglobeandmail