5 casi che rendono l’assistenza familiare attività da “supereroi”
Qualcuno ha descritto il caregiving, cioè l’assistenza di una persona cara (ad esempio un genitore) come “uno scontro tra fasi conflittuali della vita”. E, dando un’occhiata alle statistiche, saranno sempre di più nei prossimi anni le persone che dovranno confrontarsi con questa sfida, assistendo i loro cari. Sono infatti 3,5 milioni i caregiver oggi in Italia, un numero destinato a crescere con l’aumento dell’età media della popolazione. Una situazione che potremmo definire come “la straordinarietà nel quotidiano”.
Straordinari sono infatti gli sforzi compiuti giornalmente da chi sostiene la responsabilità dell’assistenza di un caro che non può provvedere a se stesso. Si parla di un impegno a tempo indefinito, che si potrà evolvere in condizioni che non possono essere controllate. Di seguito troviamo raccolti alcuni elementi di vita quotidiana, sforzi che spesso sono dati per scontati, e che abbiamo voluto valorizzare.
1. Caregiver a tempo pieno
All’interno del gruppo delle persone che offrono assistenza ai loro cari ne esiste un altro, molto ampio, che vive la condizione di caregiver ogni ora della giornata. Per questi la dimensione dell’assistenza coincide con i ritmi quotidiani, l’ambiente, lo spazio personale. Una situazione molto diversa da chi, ad un certo punto, può staccare dalle responsabilità, ritornare nel proprio ambiente e chiudersi i pensieri alle spalle. Abbiamo già trattato il tema della convivenza con un genitore bisognoso, mettendo sul tavolo i pro e i contro dell’importante scelta:
Una testimonianza interessante è quella fornita dall’americana Harriet Hodgson, che ha trascorso complessivamente 18 anni da caregiver, nove anni per sua madre, sette anni per il nipote, e due anni per il marito. L’esperienza le ha insegnato che l’assistenza non è per persone deboli. Richiede uno sforzo fisico e mentale molto grande, che si va a sommare con una serie di altre preoccupazioni.
2. L’assistenza di un coniuge: un caso particolare
Certo, anche questo è un tipo di caregiving, nel momento in cui il partner non è più del tutto autosufficiente. Qui poi si crea un tipo di rapporto particolare, che porta a riconsiderare il confronto con una persona con cui si ha un legame fortissimo. Questo, secondo alcune ricerche, può avere delle ricadute sui livelli di stress dei caregiver: la solitudine può colpire in modo più forte in questo caso piuttosto che in una situazione in cui il coniuge non c’è più. Spesso questo sfocia in un senso di rabbia e rancore. Anche in questo caso si affaccia il rischio di burnout, cioè il rischio di sviluppare una forma cronica di depressione. Abbiamo trattanto l’argomento più volte, raccogliendo vari suggerimenti:
- Assistenza anziani: evitare lo stress e aiutare se stessi
- Caregiver famigliare: consigli pratici per contenere lo stress
3. Il caregiving come esperienza sempre più “familiare”
I numeri riportati sopra lo dimostrano: a poco a poco il caregiving sta diventando qualcosa che ci si aspetta che le famiglie sostengano. Soprattutto l’assistenza va a ricadere nelle mani di famiglie che, per quanto animate dalle migliori intenzioni, spesso sono impreparate nel fornire aiuto specialistico, senza contare il salto nel vuoto che il caregiving può rappresentare. C’è poi il fattore economico, che non può essere sottovalutato. Non solo l’assistenza professionale viene retribuita, mentre quella familiare no, ma prendersi cura di qualcuno è una spesa non indifferente.
4. L’assistenza e le difficoltà con il lavoro
Questa è una ovvia conseguenza di quello che abbiamo visto nei primi punti. Molti gli esempi di persone che hanno dovuto rinunciare, o hanno perso il lavoro perché impegnate a sostenere le responsabilità dell’assistenza. E in ogni caso, si tratta comunque di un compito che sottrae energie agli altri spazi della vita, il lavoro su tutti. Ancora, meno introiti potrebbero voler dire meno contributi, e nel lungo termine questo potrebbe causare altri problemi di natura diversa.
5. Uno sforzo “da supereroi”
Raccogliendo testimonianze, emergono alcuni punti in comune. Quello che ne esce fuori è il ritratto di una persona che vive quotidianamente per le proprie responsabilità, e a cui raramente viene riconosciuto il merito. Anzi, in alcuni casi qualcuno potrebbe chiederle perché si lamenta, dato che “non è morto nessuno”. L’eroismo tra le mura di casa, soprattutto quello fatto di piccoli gesti ripetitivi, non fa molto rumore, e spesso non viene valorizzato abbastanza. C’è frustrazione e privazione, qualcosa che è stata definita come “muoversi sempre in cerchio, pensando di aver risolto una crisi che viene però subito sostituita da un’altra inaspettata”.
Fonte: HP – thecaregiverspace