“Finchè Parkinson non ci separi”: il romanzo d’esordio di Tropeano, un inno alla speranza
Di fronte ad una diagnosi di una malattia neurodegenerativa, come il morbo di Parkinson, la vita cambia improvvisamente. Ognuno di noi reagisce a suo modo. C’è chi si lascia abbattere e chi si aggrappa alla vita, chi si isola dal mondo e chi, senza qualcuno accanto, non trova la forza per reagire.
Alessio Tropeano, classe 1961, di Grottolella in provincia di Avellino, dopo la diagnosi avvenuta nel 2008 ha scelto di lottare. Come? Trasformando la sua passione per la scrittura in uno strumento terapeutico e per donare speranza a chi, come lui, è stato colpito dalla malattia. Pubblicato nel settembre 2016, “Finchè Parkinson non ci separi” è il primo romanzo di Tropeano. Ne ha parlato a VillageCare.
Di cosa parla “Finchè Parkinson non ci separi”?
Il protagonista è un uomo con una vita familiare e lavorativa soddisfacente, grazie ad un impiego molto importante e una moglie e due figli fonte di gioia. Improvvisamente l’equilibrio raggiunto si spezza e la vita costruita si interrompe bruscamente. La causa? La scoperta di avere il Parkinson, patologia che lo costringe a lasciare il lavoro e che mette a dura prova anche i legami familiari. La trama si sviluppa tra sogno e realtà, con un finale positivo e di speranza. Speranza sia nella ricerca scientifica, che nelle relazioni umane, nonostante tutto.
Com’è nata l’idea del tuo romanzo?
Quasi per caso. Sono laureato in Informatica con una grande passione per la scrittura. Nella vita è molto facile lasciarsi trascinare dagli eventi quotidiani, dal lavoro e dalle preoccupazioni, senza potersi fermarsi e sviluppare le proprie passioni. Finchè non accade qualcosa, nel mio caso il Parkinson, che ti costringe a fermarti, a riflettere, e ad utilizzare la scrittura per esorcizzare quello che stai passando, quasi come soluzione terapeutica. Così ho cominciato a scrivere, all’inizio per hobby, le prime pagine del libro. Grazie all’incoraggiamento dei miei amici più cari, ho deciso di provare ad inviarlo ad alcune case editrici che, a sorpresa, mi hanno risposto con molto entusiasmo. Da lì è cominciata l’avventura con la pubblicazione e le presentazioni in giro per l’Italia.
Quali punti in comune ci sono tra la tua vita e quella del protagonista?
Ci sono sicuramente alcuni elementi autobiografici a cui mi sono ispirato e che mi hanno dato la spinta per scrivere, ma si tratta di una storia essenzialmente romanzata, che mischia realtà e fantasia. Il desiderio di lottare e affrontare la malattia con coraggio, senza mai arrendersi, sono i punti in comune con il protagonista del libro. Vorrei trasmettere speranza a coloro che, come me, si trovano improvvisamente a dover affrontare una sfida importante, che può di conseguenza stravolgere la vita.
Come si è manifestata la malattia?
Al lavoro. Dopo aver maturato una grande esperienza nel campo informatico di grandi aziende, mi sono improvvisamente accorto di avere difficoltà a muovere il mouse. Era il 2008. Da lì ho eseguito una serie di accertamenti che hanno portato ad una diagnosi di Parkinson. Ho lavorato ancora per un paio di anni ma poi non mi è stato più possibile per le mie condizioni fisiche: così ho deciso di dedicarmi alla scrittura.
Dopo aver fatto le prime presentazioni del suo libro, come ti sembra che le persone accolgono la malattia?
Mi sembra ci sia ancora poca conoscenza di questa patologia. Si parla molto di più di Alzheimer e di altri tipi di demenza senile, e le persone sono un po’ confuse rispetto alle peculiarità di queste malattie. Per questo è importante parlarne ai giovani, come mi è capitato di fare in un liceo Classico di San Giorgio del Sannio, durante la rassegna “Libriamoci a scuola”.
Qual è il messaggio del libro?
Dare speranza a chi, come me, sta affrontando una malattia neurodegenerativa come il Parkinson che, tra le varie conseguenze, può portare a forti cambiamenti nella vita personale. La malattia, infatti, spaventa e può allontanare: è importante continuare a lottare, a sperare nella ricerca scientifica e a condividere le proprie paure ed emozioni con chi ci sta accanto. Mi piace definirlo “un inno alla vita”.